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      Ne sia egli l'Araldo; verità millennaria già espressa sotto innumeri imagini, in breve anello di frase od in larga collana di periodo, verità continuativa, ora solo potrà essere conclamata alla gente, perchè, crede il poeta, che egli solo abbia compreso realmente e realmente operato secondo quell'indice infallibile e da lui scoperto sotto le scorie del tempo.
      «Udite, udite, o figli della terra, udite il grande annunzio ch'io vi reco, sopra il vento palpitante, con la mia bocca forte».
      «Il mio canto vi chiama a una divina festa.
      La bellezza del mondo sopita si ridesta come ai dì sereni».
      «Mentì la voceche gridó: «Pan è morto»!
      Dall'alto delle terrazze che dominano, egli getta il grido anfigoricamente, come un retore alessandrino; giuoca coll'Annunzio e col D'Annunzio e rassomiglia in punto a Péladan, quando, dal semplice suono delle lettere costrinse una caldaica parentela, risalì a Beladan, ed, illustratosi di Sar, volle comparire, in cospetto a Parigi, mago di scienze esoteriche, signore del fluido, della Kama-roupa, volontario dominatore delli elementi e delle plebi universe. Per il letterato di Pescara, oggi, nell'anno 1903, a mezzo primavera, cioè nel giorno in cui il primo volume delle Laudi appariva al pubblico, il Gran Pan cominciava a riesistere.
      Noi gli vorremmo prestar fede per opportunità poetica, dimenticando quanto l'ultima volta vi abbiamo detto, in quella nostra erudita cicalata forse a molti noiosa; noi, qui, vorremmo, attenti, credere in tutto a lui, ed aspettiamo che turgide di fiato le guancie e rubiconde, allo sforzo, diano note alla tromba, per la gloria del mondo, della materia e dell'universo piacere nel ditirambo rivelata; ci accontentiamo del suo messianismo predicante, se ai meno profondi, come avvenne poco fa, (un monsignore romano lo ha preso sul serio, e, dal pergamo di una basilica, ha contrastato, ottimo banditore, all'ateismo poco pericoloso dell'opera) qualche profitto indiretto ne riesca.


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Antidannunziana
D'Annunzio al vaglio della critica
di Gian Luigi Lucini
Studio editoriale lombardo
1914 pagine 379

   





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