Viaggia e fa il mitografo; perchè ogni cosa vive, sente e partecipa del grande movimento cosmico, ogni cosa deve essere divina, ed a ciascuna assegna nello spazio il nome di una figurazione pagana; perchè egli riduce alla bellezza greca, alla purezza sopra-vissuta dei cimelii, la pietra di paragone dell'arte, ogni cosa verrà ad essere confrontata con un modello, con uno stampo, così cercando il nuovo fa nuovo imitare.
Le lunghe enumerazioni catalogano il suo bello permesso. D'Annunzio le esprime categoricamente; egli, amante del moto, fervido della vita, ha dei preconcetti retorici ed academici, pone delle dighe, delle limitazioni al manifestarsi; permette e no; rifonde uno sterile classicismo, ed, indirettamente, statuisce sulla proprietà ed i requisiti della estetica. Contrariamente, ricordomi di un Vecchio, che, sotto il platano, in sulle porte d'Atene, intrattenne Taide, venuta da Corinto e da Mègara per sfoggiar le sue grazie; e so, che Wieland socraticamente (ed il Vecchio era Socrate) lo fa diserto così: «Che, sebben ciascuno ami il bello, pur non v'è forse un solo che sappia dire a sè stesso o ad altri ciò che egli sia». Onde meglio mi accontenta questa non definizione che tutte le approssimative riduzioni aforismatiche, per cui si voglia sostituire un concetto fondamentale, sicuro ed universale, ad un vago fluttuar di sensazione.
Comunque, viaggia, assapora, s'inebria principalmente. Non è il buon filosofo(28) d'Andrè Gide (Nourritures terrestres) che insegna a Natanaël il breve e capzioso viaggio della vita, e che lo prega ad interessarsi più alle cose che a sè stesso, umile ed entusiasta prodigatore di gioia; ma è un falso padrone, un illuso despota, che passeggia, calpestando, costringendo, violentando la natura perchè del suo sangue, del suo vino, del suo umore fermentati vi abbia a bevere calici ripieni, sino alla feccia: o pure, veramente, vuole, costringe, violenta?
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Antidannunziana
D'Annunzio al vaglio della critica
di Gian Luigi Lucini
Studio editoriale lombardo 1914
pagine 379 |
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