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      No, egli s'aggira intorno alla tavola famigliare imbandita nella sala da pranzo, leggendo l'imprese di Magellano e del Kooch navigatori; egli perciò crede di aver circumnavigato con loro; perchè passionalmente ne seguiva dal volume l'avventure.
      Bene si ammirano, tra i paradisi artificiali, e si gustano assai viaggi non intrapresi. A che dunque ostinarsi in una lunga raccomandazione? Più che il proprio talento fuorviato, il quale ci poteva conservare integro il D'Annunzio originale, vogliasi ringraziare della deturpazione lo stuolo e la corte che gli sta attorno e che, ad ogni nuova pazzia, frenetica di meraviglia e d'ammirazione. Per ciò volete lamentarvi, se, in sul lasciarci, dopo settemila e novecento versi, recita l'Encomio dell'opera?
      «Noi abbiamo un canto novelloperchè tu l'oda, questo grande
      Inno che edificar ci piacquea simiglianza d'un tempio
      quadrato......»
      E l'ascoltiamo magnificare il numero impari, oscuro e inimitabile, e scandere il verso per l'elogio del verso. Nuovo, oscuro, inimitabile? L'adotta dalla strofe pindarica e dai cori aristofaneschi, con larga partecipazione della metrica comune.
      Di solito l'incomincia con un'arsi fortemente accentata, per scivolare nella tesi ripidissima; con tonalità maggiori, come se una schiera di Menadi venissero agitando sistri e crotali per ballarvi davanti, rumoreggiando quasi a mostra d'impeto orgiastico e ditirambico di cui s'infiamma.
      Poi, ad interrompere, mentre il rumore si avvicenda e si propaga, un arresto di dissonanza: un urto, un colpo di gong chinese tra li strumenti classici, anacronismo, vi percuote in petto e vi fa sospesi sulla fine del periodo musicale; rara la patetica bemolizzata.


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Antidannunziana
D'Annunzio al vaglio della critica
di Gian Luigi Lucini
Studio editoriale lombardo
1914 pagine 379

   





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