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      Religioni e credenze, in quanto sono necessità psichiche di coscienze inferiori, non possono venire cassate dalle rime di un poema; troppo piccola è l'anima di chi lo detta, e troppo lontana dalla collettiva per farci credere ad una sicura rinascita ideale, suscitata dal suo verbo. Troppo piccola e troppo gonfia: un limpido, grande e sacrificato maestro, Blanqui, che seppe, per il suo dolore, il dolore di tutti, provò agitando, da una rivoluzione di popolo, certo più coerente e più efficente di una strofe, il rinnovamento, e si ripiegò sopra la teorica. Sta oltre la superstizione e la liturgia, in noi, un desiderio che non si discute, a sapere le cause prime: l'uomo, animale-metafisico, sta tutt'ora per l'indagine logica, ordinata, faticosa e turgida di sacrificio, per una pace certa di conoscenze a venire, quindi per il campo illimitato dell'inconoscibile o del sopra umano. Ed io, considerando, io, non religioso, non credo di poter fondare, sull'egoismo dei sensi o delle semplici dilettazioni, un principio di fede; ma per questo ho bisogno di martiri e di profeti al caso, e, con più sangue è sparso a battezzare il cranio dei contemporanei, sangue nostro ed altrui, così meglio, credo, alla vittoria definitiva della idea. D'Annunzio, si asside invece tra le rose, in un giardino di primavera, o sul divano soffice di un salotto profumato; là, convoca Cristo alla disputa; facilmente lo convince d'essere, tra il nuvolo dorato della sigaretta, improprio ai moderni; lo vede discendere dal legno del patibolo e confondersi colle altre divinità che gli stanno intorno venute dall'Edda e dal Mahabarata, dal mare di ghiaccio e dal mare di sabbia, simboli ed astrazioni, a recitargli un invito pastorale, mascherata di ripiego, ultimo rinascimento alluminato dai tenui colori del nuovo stile.


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Antidannunziana
D'Annunzio al vaglio della critica
di Gian Luigi Lucini
Studio editoriale lombardo
1914 pagine 379

   





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