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      Giustizia, e li affini, toltane qualche egregia eccezione, sanno di lettere come il fu Umberto di Savoja, che si annoiava ai melodrammi di Verdi e che, udendoli sotto l'aulico baldacchino nelle sere di gala, non s'accorgeva di sbadigliare. Stiano dunque in calma sopra il D'Annunzio e sopra di me; fatte le debite differenze, chi per una parte, chi per l'altra, ci presentiamo alla ghiottoneria dello snobismo come due focaccie appetitose: provateci: siamo invece assai duri e molto amari, forse avvelenati; vi rimetterete denti e stomaco. Che, del resto, nella mia umiltà pedissequa (pare che sia molto deferente all'opinione dei maggiori?) amerei più tosto parodiare Giovanni Bovio, che presentarmi come un grottesco di Filippo Turati. La parentesi è chiusa.
      ***
      Elettra, come fece, si è stancata di brillare tra le cinque sorelle della Plejade, bionda e pallida come un'ambra, sulle cime ghiacciate e risplendenti di argento della genialità latina.
      «Italia, Italia,
      sacra alla nuova aurora,
      coll'aratro e la prora»;
      tenti il viaggio meraviglioso ed avventuroso. Remis velisque è la divisa, augurio.
      E non sia vano: non vano, come prima, il periplo di un Odysseo moderno: se ha dovuto nell'Egeo, tra il pericolo nascosto delli scogli ed il tormentar della tempesta, dimettere il fragile ed elegante yacht di Scarfoglio-Sciosciamocca, giornalista di molto ingegno e di nessuna probità, per confidarsi ai più solidi fianchi dei piroscafi della Navigazione Generale; sì che il ben amato da morte Guido Boggiani e l'arguto ed ottimo Hérelle traduttore, soli, tennero il mare sul guscio e giunsero, vincitori dell'onde, ad Atene, ospiti della Legazione Italiana; che un personalissimo uomo di lettere, allora diplomatico, ed ancora desiderato dai Greci dopo la burla di Silvestrelli, rappresentava e teneva con decoro d'arte e d'alti pensieri generosi.


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Antidannunziana
D'Annunzio al vaglio della critica
di Gian Luigi Lucini
Studio editoriale lombardo
1914 pagine 379

   





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