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      Vede il Fanciullo figlio della Cicala e dell'Olivo e lo fa vergine ancora, cantatore perpetuo di una immensa plenitudine vivente; - discende alle rive dei fiumi verdi, lungo l'Africo: - dall'alto della sua Capponcina gli appare La Sera fiesolana (qualche stornello trecentesco a battuta vanisce nell'aria) - e fa la sua Georgica.
      Meno Vergilio(XV) e più retore della bassa latinità, si ferma all'ulivo, alla spica, all'opere ed ai giorni (Esiodo è lontano e le sue mitologie non sono più di moda); si piega al bidente ed alla marra, ed afferra la stiva dell'aratro cantando. Ma Pascoli è presente e gli guida la mano e gli fa il solco avanti; e l'antico Columella gli sorride vicino mormorando: «Ottimo poeta, se ritorni alle glebe:» e l'Arici gli porge opportunità di belle imagini, di aggettivi repleti e carnosi; ed il lavoratore non suda, e per ispasso, canta, ricanta, ricanta ancora.
      È calmo, è compreso, alla sera, della fatica: nella Beatitudine, sul motivo di una perla:
      «color di perla quasi in forma qualeconviene a donna aver non fuor misura».
      (non vi pare che qualche volta petrarcheggi?) ha una meditazione.
      Poi il Ditirambo sobbalza sulle groppe dei cavalli che scalpitano, sulle groppe delle baccanti che fremitano e brandiscono il tirso; e voi vi domandate: «A che? A che prò questo invasato si eccita? È una burla?» No: egli ha trovato il suo tripode fumigante nella terra grassa e gonfia di umori; e di là invoca Dionysos per essere in carattere, perchè Dionysos vuole il ditirambo e Nietzsche, un giorno, uno gliene aveva promesso.


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Antidannunziana
D'Annunzio al vaglio della critica
di Gian Luigi Lucini
Studio editoriale lombardo
1914 pagine 379

   





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