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      Seguono piccoli poemi, di piccoli versi, innocente puerilità di ripetizioni, ritornelli di eufemie per ingannare e per stordire; madrigaletti secenteschi d'occhi lunati ed aurini, di calda piova che scroscia sulle mani nude d'Ermione: bazzeccole brevemente ripetute, fluorescenti ed iridate come bolle di sapone; le quali se scoppiassero contro una pietra, nel loro volare che è una caduta, saprebbero che sia realtà. La numismatica gli è pretesto a similitudini; domani l'agiografia avrà da lui un trattato, non cosa nuova se sfogliamo le raccolte bizantine.
      E le ricchezze della terra, i fieni e le biade, il tralcio ed il tronco e l'acque irrigue, i segni delle stagioni e tutti li animali che portano some, che barriscono, che urlano, che galoppano, che fuggono e che si appiattano, son dietro all'Orfeo novissimo, corso oggi a disturbarli nelle fratte delle foreste, nelle frappe dei boschi, nelle radure solatie e silenziose in riva ai fiumi. Su, con lena: spesso il volume, non denso, ma le pagine da riempirsi sono innumeri ancora: importa fare molto, quanto al far grande è un'altra cosa.
      NOTE.
     
      VII.
      «IL CERVO» «L'OTRE» ED IL SUO VINO.
      Ritorna oggi, il poeta alla salace festività che un giorno fece applaudire e con ragione Canto Novo ed Intermezzo. Con abilità più temprata e più rotta all'esercizio, nei versi impari, ricorda(37) Meriggio. Sa di arsiccio e di tormentato; così le legna da molto tagliate e lasciate al bosco, senza raccoglierle in casa, odorano, tra i muschii, di fradicio, o, se vi batte il sole, d'esca solfurea e sfilocciata.


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Antidannunziana
D'Annunzio al vaglio della critica
di Gian Luigi Lucini
Studio editoriale lombardo
1914 pagine 379

   





Ermione Orfeo Canto Novo Intermezzo Meriggio