Fra tanto, glabro e compreso il Poliziano, Masilio Ficino platonizzante in disputa, e Pico della Mirandola mirabile portento e giovanile di dottrina, li aspettavano al ritorno, in lieti ragionamenti col buon priore Marcotto, raccolti in torno al pozzo garrulo del chiostro. E Firenze attendeva il suo despota.
Ora più inglesi, per uno sport meglio misurato, ma non a fatto divelto d'ogni classica abitudine, egoisticamente Ardi e Glauco conoscono le piste e sanno l'orme, seguono il cervo in sul far dell'alba e nei crepuscoli della sera lenti e stringendolo da presso, lo dettagliano coi termini di venaria. Odono, a notte, le sue lunghe mugghie: odono
«.... la voce sua di torosorgere al grido della sua lussuria
.... nei silenzi della luna».
E l'animale vien preso.
Così Glauco sta, misto anfibio, tra la terra e l'onda: questa in sua favella,
«sciacqua, sciabordascroscia, chiocca, schianta,
romba, ride, canta,
accorda e discorda;
tutte accoglie e fondele dissonanze acute
nelle sue volute profonde,
libera e bella;»
questa si rinnova e si rimuove, agilissima o pigra nel numero di giusta prestanza sonora della strofe lunga. L'altra calma e verde, solatia ed oro gli appresta la dolcezza delle sue pingui grazie e de' suoi favori, e di sette creature e bionde e brune, partecipe ad artifici di voluttà, gli regala in corona un gineceo, Venere d'acqua dolce di un tempo, perfezionata e multipla nel puro cammeo dei sonetti. Glauco è molto stretto parente di Andrea Sperelli se vuole suggere per diverse bocche, diversi sapori di voluttà felice.
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Antidannunziana
D'Annunzio al vaglio della critica
di Gian Luigi Lucini
Studio editoriale lombardo 1914
pagine 379 |
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