È sincero fin qui, fino a quando non si presume demiurgo.
Bella virtù, grande coraggio la sincerità; dolorosa prova di forti caratteri; ora che ogni uomo cerca di arrivare, o per favore o per ambizione, mascherando come meglio può sè stesso o facendosi peggiore per ricatto, o mostrandosi minore per avere aiuti di compassione. Leopardi si regge vicino a Foscolo per questa semplice e nativa persuasione di non tradirsi; ed è spontaneo, è verginale dolorando, disincantato sull'angoscia del mondo: li ultimi e più discussi poeti di Francia, Verlaine e Mallarmé, rimangono oltre alla loro formalità perchè non diversamente avrebbero potuto esprimersi, senza fughe e senza ritrattazioni e si sarebbero diminuiti, se, l'uno semplice vagabondo intellettuale, l'altro involuto e complesso studioso di sintesi personificate, avessero tagliuzzata la loro poesia, rimpastata la loro metrica, abburrattata la loro strofa in un altro pasticcio mezzo parnassiano e mezzo decadente, di inferiore qualità, ma più adatto ai palati dei loro contemporanei.
D'Annunzio, invece, che ha qualche impeto, qualche ragione personale cui potrebbe sfruttare legittimamente, senza che alcuno lo possa rimproverare, vuol chiamarsi l'aureo, l'universale, megalomania isterica che gli torna a tutto danno. Per ciò, nessuna delle sue imagini è inedita, perchè o teme il rimprovero del purista, od è poco sicuro del suo giudizio per ammetterla senz'altro. Ed il letterato di maniera eccelle nella abilità del centone che sembra opera personale.
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Antidannunziana
D'Annunzio al vaglio della critica
di Gian Luigi Lucini
Studio editoriale lombardo 1914
pagine 379 |
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