«Questa sentenza non mi ha distolto dal comporne qualche altro. E veggo, con un po' di orgoglio, che poeti come il D'Annunzio, Giulio Orsini, Orvieto, Lucini ed altri non abbiano sdegnato di mettere una grande impronta d'arte nel semiritmo da me iniziato con perdonabile inesperienza».
Venga Domenico Oliva, il sapientone; che quand'era in sui verd'anni aveva piacere di barzelettare, oggi, lodato anche dall'ex di molte opinioni politiche Tomaso Monicelli, poco fortunato greppajuolo e del socialismo e del nazionalismo: quel tal nazionalismo che non vuol dichiarare fallimento, marcio di dentro e di fuori, tutta chiacchiera e reclame, e che non sa ciò che si vuole, fuorchè il sangue, come il barabba; che concepisce l'italianità come il libito di scannare tutti li altri che hanno dei dubbi sulla opportunità della guerra di Tripoli e sulle necessità di essere salesiano, almeno col di dietro del corpo. Venga Domenico Oliva, gran bacalare di critica del Giornale d'Italia, pronto a firmare la risposta altisonante e vuota dei plurimi Corradini contro la Massoneria, insultata da loro, con bella commendatoria prestanza genovese. Egli vi dirà che di verso libero non vi ha traccia nelle Laudi, perchè nomina i versi che le compongono colle solite voci retoriche con cui si indicano i consuetudinarii e vecchissimi.
«Ma, se debbo stare a quello che si scrive e si dice, questo alternarsi nel D'Annunzio di vecchi e di nuovi modi, di disciplina rigidamente osservata e di ribellione quasi temeraria, non eccita nel pubblico e nella critica impressione alcuna: che sian questioni che hanno fatto il tempo loro?
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Antidannunziana
D'Annunzio al vaglio della critica
di Gian Luigi Lucini
Studio editoriale lombardo 1914
pagine 379 |
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