La Nave è tutta quanta in endecasillabi, centinaia dei quali finiscono in più, in ma, in né in non: serie casuali di sillabe, intonate con un accento casuale, che potrebbero cedere il posto a una qualunque altra forma prosodica. Non è indispensabile che la struttura metrica risponda alla struttura del pensiero con la mirabile concordia della Figlia di Jorio; ma, quando costantemente le contraddice, è segno che la forma non s'addice al suo contenuto e non gli nacque gemella.
«Il D'Annunzio trovò gli schemi estrinseci bell'e fatti nella Francesca da Rimini (endecasillabi misti a settenarii) e nel Canto di festa per calendinaggio (endecasillabo sociale, patriottico, profetico). Li impose per forza alle sue nuove tragedie, che li subirono di mala grazia».
A fortiori, e, non diversamente, nel nostro caso: nelle Laudi questi difetti si riscontrano in maggior evidenza; qui, il pensiero, che riempie il verso d'annunziano, ed il verso stesso sono due cose distinte e differenti, anzi indifferenti l'una dall'altra, quasi nemiche.
Un vero poeta, che crea alla propria espressione l'armonia ed il tono necessarii alla più logica e più melodiosa poesia, ha insieme ed invece, col pensiero, il verso che lo manifesta; non dimostra penosamente questo brancolare tra piedi ed emisticchi, cieco; non il ballonzolare uniforme e scolorito, in una media registrata e come imposta dalla forma occasionale, con cui si vestì il primo concetto, che sta pure a primo verso della poesia. Ciò significa, a mio parere, che D'Annunzio può sentire più o meno profondamente la musica verbale - notate intanto ch'egli è più un colorista che un sinfonista - ma, da questo sentimento non ha saputo creare il ritmo psichico, le cadenze logiche, non conchiudere in modo da non togliere al proprio pensiero la freschezza nativa e musicale, violentandola nel periodo prestabilito della strofe, con danno al buon senso, all'effetto, alla chiarezza.
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Antidannunziana
D'Annunzio al vaglio della critica
di Gian Luigi Lucini
Studio editoriale lombardo 1914
pagine 379 |
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