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      Scandete, con tutta precisione que' bastardi delle Laudi - quelli che salgono o degradano come vuol la bella imagine del nostro eccellentissimo Oliva, e, o vadano in su, o vengano in giù, quale melopea stracca, uniforme, senza colorito. D'Annunzio è incapace di dissonanze logiche, perchè non possiede il dominio dei centri inibitivi e della volontà; si lascia andare. Indi, perchè, pur sollecito a gustare sottilissime armonie, padrone di una tecnica formale preziosa, non ha ancora potuto sfruttare, non conoscendoli ancora, tutti li aumenti verbali dell'incidente - come li chiama Paul Claudel, - tutto il concerto delle terminazioni di cui la nostra lingua è più d'ogni altra ricca per sfumature, per velature, per nebbiosità di suoni, di armonici, di allitterazioni, di assonanze, di dieresi, di crasi, di elisioni, e non sa utilizzarli al loro posto come conviensi. Il Pescarese è grasso e non muscoloso, è tumido e non ricco; manca della massima virtù di un poeta, che crea a sè stesso il ritmo: cioè, della rima interiore, mi(47) suggerisce un'altra volta Claudel. E, come il suo pensiero non ha subito nessuna trasformazione per passare dal Piacere, ad esempio, alle Laudi; così la sua ritmica non ha mutato modo di presentarsi, per quanto appaja stampata sotto forme, per lui, insolite prima.
      Un'altra volta gli fa difetto, nel getto del concepire, la naturale direttiva della volontà: sensibilità e pensiero non fanno in lui vita comune; entusiasmo e ragionamento si oppongono; questa fusione tra il sentire ed il volere, tra il potere ed il fare, che dà la misura del genio poetico e pur anche del puro giuoco genuino lirico, ma spontaneo, con esattezza di rapporti, che illustrano maggiormente la potenza e la limpidità delle emozioni provate, gli è affatto sconosciuta.


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Antidannunziana
D'Annunzio al vaglio della critica
di Gian Luigi Lucini
Studio editoriale lombardo
1914 pagine 379

   





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