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      «Quel ramo del lago di Como, chevolge a mezzogiorno
      fra due catene noninterrotte di monti...»
      Precisamente!
      Cercate in tutta l'opera poetica del D'Annunzio una strofe che abbia questo movimento, a seguito di una logica così osservata:
      «Mi stanno a lato le Grazie:
      non piangono, ma fremono;
      han neri veli alle chiome:
      portano ellebori oscuriinfissi nelle chiome:
      si allacciano alle mani colle dita,
      pallide come per spasimo;
      l'una abbandona all'altrala molle persona smarrita».
      Trovatemi un verso d'annunziano che competa, modestamente, con questo:
      «S'arroca e rantola dentro le canne torte delle grotte:»
      e con quest'altri
      «Rimbombano al boato caverne e corridoicome se all'ecatombe muggissero i buoi di Proserpina;
      cigolano sui cardini le porte,
      si abbatton sulle soglie delli androni buial frenetico annuncio della Morte».
      Prosetta ballonzolante, eh! giudice Onofri?
      E pure, voglio lasciar parlare un altro sottile critico del Pescarese; quello, che, pur osteggiando, cerca di dotarlo di una certa quale intuizione, per cui, in una crisi della sua esistenza, ha avuto, annubilato, e per quanto in embrione, meno torbido e più concreto il concetto del verso libero, teorica, del resto, che, se non fosse stata un imparaticcio, appiccicato alla memoria con alquanto unguento linguino, gli avrebbe meglio reso nel fare. Venga Enrico Thovez(XXIV) deponga per me e cerchi di convincere altrui, che anche il suo autore era capace di sentire e di riproporsi, in ogni libertà, colla più larga presentazione di una lirica redenta, il suo proprio riflesso personale: «Gabriele d'Annunzio, nell'anno di grazia 1903, a quarant'anni, era stato preso da un improvviso bisogno di libertà ritmica e di nervosità espressiva.


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Antidannunziana
D'Annunzio al vaglio della critica
di Gian Luigi Lucini
Studio editoriale lombardo
1914 pagine 379

   





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