È il Poeta nativo colui che ha coscienza di sè stesso e sa quanto, fa, e subisce il ritmo delle sue idee, ed è capace di scriverle nella genuina notazione con cui gli si presentano; e non lo si farà mai diventare il deformatore della propria sensibilità, chè la sua volontà deve opporsi alla abitudine del suo mestiere, quando desidererebbe, per la piega scolastica ed i postuma retorici non ancora del tutto espulsi, opporsi all'indipendenza logica, alla verginità dell'inspirazione: deve impedire insomma, che le regole astratte dei gramatici, che insegnano di far più bello, ottundano od evirino la bellezza nata, spontanea, organicamente, da tutto il suo organismo. Deve ancora rappresentarsi, come gli è obbligo di vita, nell'opera, ma singolarmente solo, in offesa e difesa, determinatamente unico, senza pretesti a confusione, senza sottintesi a ripiego. Il Poeta è questo camminatore solitario, tra una densa folla che lo circonda, lo distingue, ma non lo approssima: qualunque sia la sua statura, il suo vestire, il suo andare, se voi gli passate vicino, dovete accorgerlo come diverso tra i mille dal modo con cui vi guarda. D'Annunzio guarda il suo pubblico, dentro cui si annega, colle pupille di un ciascuno che faccia il mercante o di vino, o di grano, o di chiacchiere; e nella calca, noi non lo riconosceremmo se non si avesse pagata la banda del Tirazza a codazzo, per suonargli la marcia e per attirar gente. Fate che que' striduli ottoni cessino l'accompagnamento ai più disgustosi legni, e non tuoni più il tamburone; dove se l'è fumata l'Imaginifico abruzzese?
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Antidannunziana
D'Annunzio al vaglio della critica
di Gian Luigi Lucini
Studio editoriale lombardo 1914
pagine 379 |
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