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      Queste grossolane ed empiriche dimostrazioni convincono assai più che non facciano i sottili ragionamenti filosofici e le più acute psicologie critiche intorno al carattere ed all'opera risultata del nostro autore: in fondo, noi dobbiamo sempre rivolgersi al pubblico con argomenti solidi e capaci che sforzano, colla loro evidenza meridiana, anche le più chiuse intelligenze: il lettore italiano è rimasto sempre latino, anzi romano: esso non sa capire, nè gode, della elegante difficoltà per cui le astrazioni si fanno verità, nè tanto meno sa applicarle al concreto ed all'assunto: tutto che in genere è chiarissimo ai greci ed alli inglesi, per lui, è oscuro e pericoloso e vuole il fatto. Ecco il fatto nel plagio documentato; ma a me non togliete il piacere di destreggiarmi colli universali e di, non solo, dare un particolare, ma anche una ragione più vasta e forse poco conosciuta di questo fenomeno letterario e delle sue conseguenze.
      Domandiamoci allora: Che è Plagio? E per cercare di sbagliar il meno possibile rifacciamoci alla etimologia. Plagio = Plagium, deriva da Plaga, piaga, percossa, battitura: Cicerone: «Dico in illo supplicio mercedem vulneris atque plagiae constitui nefas fuisse»: e plagium significa latinamente quell'atto, o meglio reato, con cui alcuno compera per ischiavo un libero, o lo sostiene, o lo vende come tale; o persuade ad un servo fuggir dal proprio padrone, per venderlo, donarlo ad altrui(51).
      Il plagio è dunque, secondo la legge penale romana, una fattispecie del furto, che ha attinenze coll'abigeato aggravandosi nel caso, col ridurre, senza titolo alcuno, un libero in servo, usando la violenza, esercitata contro la volontà di un cittadino, per cui questi diventa mancipio del proprio ingiusto possessore.


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Antidannunziana
D'Annunzio al vaglio della critica
di Gian Luigi Lucini
Studio editoriale lombardo
1914 pagine 379

   





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