Plagio è azione degna di piaga, condannevole sopra ogni riguardo; e, se vogliamo accostare i due concetti, ecco che: la piaga maggiore che si possa infliggere ad un libero è privarlo della sua libertà. Donde similmente: «Il maggior danno e spregio, che un artista può recare all'altro, è rubargli le idee ed il modo con cui sono da lui espresse, per rivolgerle al proprio tornaconto»: il reato è, nel primo e secondo caso, turpissimo(52). Facile allora comprendere, come il plagiarius sia chi vende e compera per schiavo un libero, e più latamente, secondo l'opinione di Ulpiano: chi vende ciò che non gli appartiene. D'altra parte, Marziale, con felicissimo translato, è il primo e designare con plagiarius colui che ruba le opere altrui e se le arroga come sue. - Di rimando, plagiger è chi è fatto per essere bastonato; ed i due vocaboli si assorbono; perchè il plagiario scoperto è appunto colui che deve essere - come il ladro trovato colle mani nel sacco - bastonato. Di fatti la Lex Fabia de plagiariis, la quale proibiva di celare, legare, o tener legato, o vendere, o comperare, sciens dolo malo, un cittadino romano, od uno schiavo di cittadino romano, indebitamente sostenuto nell'ergastolo d'altri; interveniva, con sanzioni penali, nell'occorrenza di questo reato commesso e confesso, con la multa di cinquantamila sesterzi, prima, poi, durante l'impero, coi lavori forzati, ad metalla, in metallum.
Decaduta la schiavitù, svoltosi, maggiormente rispettoso del diritto umano, anche il giure; plagio è ora: «Il furto letterario, scientifico, artistico; essendochè, la proprietà delle opere dell'ingegno e di tutto quanto ne scaturisce, prima non considerati dalle leggi, oggi, sono riconosciuti a far parte patrimoniale, personale, sia come modo di acquisto di proprietà, sia come proprietà stessa»(53).
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Antidannunziana
D'Annunzio al vaglio della critica
di Gian Luigi Lucini
Studio editoriale lombardo 1914
pagine 379 |
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Ulpiano Marziale Lex Fabia
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