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      Inoltre, è bene osservare che il plagio vien da noi considerato un delitto contro la fede pubblica, e cioè un reato più affine alla spendita di biglietti di banca falsi che non al furto vero e proprio. Inversamente, io lo determino come uno dei delitti contro la proprietà individuale, perchè questa artistica è l'unica che possa essere anche immune dal peccato di origine lamentato dal Proudhon: «La proprietà è un furto»(55).
      Evidentemente, il Filosofo della Miseria non vuol confondere la facoltà del possedere, che si determina da noi colla stessa vita, col possesso, stato di fatto. Si che, pensando io romanamente, posso ammettere come il possessore tipo sia il ladro: ma gli contrappongo il proprietario tipo, che è il lavoratore, non potendo limitare il campo umano, col togliergli l'esercizio di quel diritto, che deve rimanere nel utendi, sopra cui si inalzano le determinazioni della società, libera dispositrice ed usufruttuaria di quanto sa l'uomo produrre in sopra più della natura.
      L'opinione del Proudhon è singolarissima in fatto di proprietà letteraria; egli ammette che si accordi alli autori una sovvenzione senza che costoro però, abbiano il diritto ad una rimunerazione: argomenta, che, non essendo l'Arte una utilità ma un quid inestimabile, non può essere soggetta a precisa valutazione e sia fuori commercio; il giusto, il vero, il bello non possono essere venduti, ma distribuiti gratuitamente; alla collettività rimane l'obbligo di sollevare dalle contingenze dolorose della vita l'artista, il sapiente, lo scienziato che li produce o li aumenta; ma l'artista, il sapiente, lo scienziato non possono, d'altra parte, usufruire come proprietarii, vendendo l'opera loro; la quale, per la sua portata etica ed estetica, esorbita dalle loro egoistiche facoltà, e bisogna che si riversi, integralmente, sopra la comunità umana.


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Antidannunziana
D'Annunzio al vaglio della critica
di Gian Luigi Lucini
Studio editoriale lombardo
1914 pagine 379

   





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