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      È pur questa la teorica di Giulio Lazzarini: non si può trafficar della bellezza, della scienza, della virtù, che sono patrimonio nostro comune: premiamo coloro che sanno lambiccare, dal fondo limaccioso, che appartiene a tutti li uomini, in quanto vivono, il giusto, il vero, il bello, in magnifici esempii, con perfetti dettagli messi in azione e commoventi; ma non paghiamoli: essi hanno, è vero fatto cosa che li avvicina alla divinità; non per questo erano meno obbligati, fratelli nostri più puri e migliori, di dotarci delle loro scoperte gratuitamente: nel caso contrario, sarebbero delle infere divinità. E Kropotkine instituisce all'uopo, non Academie privilegiate, ma Teatri magnifici, in cui l'applauso basta alla gloria delli inventori; mentre l'universa fratellanza li dichiara oltre e franchi l'obbligo del lavoro, che non sia il loro; quel tal lavoro che oggi par vagabondaggio ed ozio alla borghesia mecenatessa tirchia e corruttrice.
      Non eguale ragione ha il Carey, se contesta il diritto della proprietà letteraria, il più umano e naturale esercizio di vita, da che il padre si aumenta della propria creatura, usandone idealmente come un pater familias romano, con profitto suo, utile e vantaggio generale. Sostiene che li autori pescano le idee nel comun fondo delle conoscenze, e sono giardinieri che colgono, di sui prati della proprietà collettiva, i fiori più vividi e profumati per farne un mazzo egoisticamente singolare. Tutti hanno diritto a questo mazzo, esclama il comunista, senza doverlo pagare!


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Antidannunziana
D'Annunzio al vaglio della critica
di Gian Luigi Lucini
Studio editoriale lombardo
1914 pagine 379

   





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