Il cervello d'annunziano, che sembra dalla esteriorità tanto alacre a fucinare ed a plasmare, si comporta, invece, con irriducibile neghittosità: sì, lavora, ma nel suo modo che è di adattamento superficiale, di risveglio mnemonico, di ricerche verbali. Perchè? Troviamogli la scusa, non solo attenuante, ma discriminante. Non ne può fare a meno. Osserviamo il suo mecanismo psichico in movimento.
Gabriele D'Annunzio è dinanzi allo spettacolo della natura e della vita, e davanti ai libri altrui che lo descrivono, nell'attitudine dell'esteta passivo: ha piacere. Quanto gli suggerisce però la realtà non diviene in lui che emozione di sentimento; ciò che prova invece dalle pagine che legge è già emozione estetica: cioè, emozione sentimentale lambiccata, svoltasi già in bellezza, capace di comunicare non solo col senso, ma pur colla mente; insomma emozione elaborata dalla fatica psichica altrui in grado superiore. Al fatto: egli sarebbe stato capace di dire ciò che aveva sentito davanti al tramonto di una bella giornata di maggio, se non avesse anche letto la descrizione di un tramonto di maggio? Quella descrizione autentica la sua percezione; dà il tono al suo proprio sentimento, provato davanti allo spettacolo: se dovrà descriverlo, dovrà, per forza, ricorrere alle parole dette da altri prima di lui. La lettera ha avuto più facile impronta sulla sua coscienza che non la diretta esperienza.
Perchè vi sono due modi d'acquisto delle idee: per esperienza propria, o per coltura. L'idea può essere il risultato di una concezione personale, ed allora ci appartiene veramente e porta l'impronta originale nostra; ma può essere acquistata per sopraposizione e non per elaborazione diretta, e ci apparirà velata come nozione venuta d'altri.
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Antidannunziana
D'Annunzio al vaglio della critica
di Gian Luigi Lucini
Studio editoriale lombardo 1914
pagine 379 |
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D'Annunzio
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