Charles Algernon Swinburne moriva in fatti nella sua villetta de' Pini, presso Londra, a mezzo lo scorso aprile: tutta la stampa europea se ne era commossa, e lo aveva noverato tra i pochi, poeta ribelle, collaudato dal premio Nöbel, con fortuna ed onore a stento inchinati su fronti repubblicane; ma Charles Algernon Swinburne, autore di una scena lirica Phaedra, magnifica parente lussuriosa di Dolores e di Hermaphroditus e saccheggiato in modo da rendergli amorfa e sciatta la sua poesia, per scialaquarla e stemperarla, come una droga forte di cui si voglia far tisana emetica e nauseabonda, nessuno seppe e parlò. A me concorreva, in quei giorni, un lavoro promesso ai giovani della(XXX) Giovine Italia di Ancona, cui regge, con audacia ed insistenza Oddo Marinelli, caro nome a noi tutti: ed a me, dopo d'averne ripassata l'opera, perchè del cantore di Laus Veneris desiderava parlare non secondo il dettato dei Larousse e delle altre enciclopedie, speditiva incombenza di facilità, soccorse la lettura di Fedra; ed, oggi, ve ne voglio dare, come altrove avvisai, il commento ed il risultato.
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Esumazione di alquanta eleganza, parmi divenga in moda, una rubrica di Reminiscenze e imitazioni nella letteratura italiana, durante la seconda metà del secolo XIX, tal quale la intitola nella sua Critica del 20 maggio 1909 Benedetto Croce. Opportunamente l'apre e incomincia D'Annunzio, il cui prodotto fu, anni addietro, prediletto terreno di caccia ai ricercatori di reminiscenze, imitazioni e plagi.
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Antidannunziana
D'Annunzio al vaglio della critica
di Gian Luigi Lucini
Studio editoriale lombardo 1914
pagine 379 |
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