Quindi ambo freneticano ed eruttano l'ultima maledizione, l'esorcismo alli Dei onde, tosto, scoscenda sopra Ippolito la strage; preghiera solenne tra i singulti d'amore, odio implorato esiziale ai Superi, verso cui l'insaziata ingordigia delli inguini feminili slabra tumida e protesa invano, all'urto del maschio che fugge:
. . . . No, non posso. Te lo dico.
Ippolito, non odi? con la vocedi sotterra, non odi? con la voce
che non è mia ma dell'inferna Erinni.
Se ti è cara la luce (e già i cavallidel mio Sole percuotono lo spazio
dell'inchinato cielo)
se ti è dolce la vita, or tu mi deviabbattere sul tuo cammino ed oltre
passare senza volgertiindietro e andare alla tua lotta e vincere.
Ma non sperare di vivere, di vincerese non mi abbatti.
Ma tu sei peggiore; da te con un soffio ritorna indietro sulle mie labra la mia preghiera e le schiaffeggia dileggiando. Che posso io dirti? Obbligarti a farmi del bene uccidendomi? - Scansati, guardati; io te lo dico; sia prudente; riguarda in mezzo ai tuoi piedi per timore che un'insidia non li afferri, per quanto la terra appaja sicura.
***
Avrò io la sbadata malagrazia di affermare che il D'Annunzio abbia torto e con ciò dimostri la sua poca probità letteraria? Ch'egli manchi di quella ingegnosità così cara e così pratica oggi giorno? Ch'egli non sappia sottomettere la propria produzione alla richiesta della follaccia, che oggi gli rimane tuttora in torno? Ma io non dirò mai tutte queste corbellerie anzi, ammiro il suo stomaco di struzzo, che, letterariamente e contro suo genio, trangugia tutti questi ciotoli plebei e scabri, perchè, nel minor tempo possibile, sopra reminiscenze, ricalchi e traduzioni, colla minor spesa cerebrale, col minimo mezzo dell'amanuense, egli possa scodellare alle platee italiane la sua derrata bollita, pepata, ammanita secondo le ultime ricette della più bassa culinaria dramatica.
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Antidannunziana
D'Annunzio al vaglio della critica
di Gian Luigi Lucini
Studio editoriale lombardo 1914
pagine 379 |
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