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      La critica che è il gendarme dell'opera altrui e che deve avvisare e denunciare alla opinione pubblica il furto consumato e produttivo del baro di letteratura; la critica si ammuta, ha paura, ha pudore.... o forse concorre al guadagno. Ed a ciascuno è lecito fare il brigante, in arte, e violare i confini ed il domicilio, e pirateggiare sui mari della stretta proprietà allodiale del pensiero; e nessuno se ne preoccupa ed accusa. Che anzi si dice: «Come è furbo; che ingegno; che praticità, quante cose conosce e come le impiega a suo luogo!» Certo, egli ha ragione, il D'Annunzio; sono io che ho torto e lo confesso.
      Io, che lo vado prendendo sul serio, perchè vedo ancora in lui, sotto tutte le degenerazioni della moda, dell'interesse, della vorace sua esistenza, ancora, dell'ingegno: meglio gli si addicono invece le parodie e le caricature, meglio il sarcasmo, che balza ridendo, meglio il grottesco, il dileggio spicciolo, la irriverente contumelia. Inchinare su di lui la critica appassionata e sincera è cattiva azione: questa, che deve essere una ragione sociale di norma onesta e bella - questa, che crede e deve rivolgersi come pretesto ad un autore, perchè l'arte dell'epoca ed il suo pubblico vengano giudicati; questa, la mia, è inutile e fuor di posto. La nostra piccola Bisanzio ha la poesia che le conviene: il giro è vizioso e concentrico: costume, grettezza d'animo, concorrono a fare del misero caso D'Annunzio un caso nazionale; noi abbiamo torto marcio. La rigatteria letteraria d'annunziana è l'indice estetico della nazione, come il parlamentarismo attuale è giolittiano ed è l'esponente della moralità politica e provata della monarchia: che volete di più? Noi abbiamo torto.


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Antidannunziana
D'Annunzio al vaglio della critica
di Gian Luigi Lucini
Studio editoriale lombardo
1914 pagine 379

   





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