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      DELLE MOLTE «FEDRE».
      «Con questo titolo G. P. Lucini pubblica nella Ragione un articolo persuasivo e corredato di documenti per dimostrare come Gabriele D'Annunzio, nello scrivere Fedra, abbia saccheggiato anche la Phaedra del Swinburne. In tale operazione «l'abilità del D'Annunzio fu somma - egli dice - nello smarcare dal suggello swinburghiano i versi di lui; cambia loro il posto, li anticipa, o li fa seguire interpolatamente; li comprime, li schiaccia dentro le proprie cacofonie; li sforbicia e li torchia; ne cava il sugo dentro un piattello già ingombro di roba altrui; ne condisce il suo intingolo come di un liebig e di fomenti caldi; lo ammanisce alla promiscua e melensa ignoranza delle piccionaie, delle platee e della gazzetteria nostrana e se ne fa applaudire».
      «Il Lucini offre la dimostrazione del plagio a Benedetto Croce, il quale nella sua rivista La Critica (fascicolo del 20 maggio decorso) ha cominciato a pubblicare: Reminiscenze e imitazioni nella letteratura italiana durante la seconda metà del secolo XIX. Benedetto Croce ha iniziato questo studio dal D'Annunzio e ha ripubblicato le accuse e le prove della res furtiva, rivelate tempo addietro dal Thovez e da parecchi altri, per le successive opere del poeta, e quel che ha scritto recentemente Umberto Silvagni, nello studio Fedra svelata, stampato nell'Avvenire d'Italia del 18 aprile passato.
      «Alle prove fornite da Umberto Silvagni sulle fonti e gli originali greci della Fedra, così miseramente scomparsa dai cartelloni teatrali, il Lucini aggiunge le citazioni della «Fedra inglese, edulcorata e deturpata per le cure eccezionali dell'Italianissimo poeta». Tutte le gazzette furono unanimi nel riconoscere la scena tra Fedra e Ippolito, nel secondo atto, come il migliore frammento lirico dell'ultima tragedia dannunziana.


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Antidannunziana
D'Annunzio al vaglio della critica
di Gian Luigi Lucini
Studio editoriale lombardo
1914 pagine 379

   





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