Se non raggiunse per me, le cime, sulle quali i pascoliani idolatri lo vorrebbero in posa statuaria ed imperialistica, certo, Giovanni Pascoli mi si comporta, di fronte al ciurmatore mimografo, come una ammirabile insistenza di arte e di probità, incoronata da una nobile vita di schiettezza, come uno dei maggiori e più lucidi indici di nostra letteratura contemporanea, avviato a calme avventure borghesi, ma di schiette e composte realtà.
Venga invece tutto il pum pum dalla Senna e furoreggi l'eccitazione follicolare, che non si vergogna di rendere meno caduche le parole di quel corega fescennino-giullaresco, regalandole di una più lunga durata, collo stamparle, nere, sul bianco sudicio delle loro pagine.
Fiati di voce incostante, due e massime bestemie egli ha pronunciato testè; e la valletteria, acconciatasi a riceverle in ginocchio, due e mostruose echeggiò per l'Italia. La prima, quando l'Imaginifico disse esser egli in esilio; la seconda, quando assunse a sua terra d'elezione la Francia, ripudiata la patria, donde delli onesti commercianti, dei creditori non irreverenti ma severamente giusti del loro, lo fugarono con vergognosa sua ma ben meritata esecuzione.
Esilio? Sì veramente, a credergli dal boniment, che, di sulla ribalta dello Châtelet, un istrionetto disse fuori, presentando l'autore:
«Ora, il nomedi questo operaio pellegrino,
di questo fiorentino in esilioche balbetta la lingua d'oil:».
(oh povero e mitissimo Herelle!): e lo fece ammettere dalle labra del suo procuratore, perchè la sacrosanta parola, sulle sue, forse ancora italiane, gliele avrebbe bruciate.
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Antidannunziana
D'Annunzio al vaglio della critica
di Gian Luigi Lucini
Studio editoriale lombardo 1914
pagine 379 |
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