Si lasciava a tergo le lercie e reddituarie congiure di un diminuito Talleyrand valtellinese, soppannato alla catedra da un abate poligrafo, dissipatore di un nome grandissimo per virtù di fratelli; fuggiva le lodi alla leggittimità delle pie gentildonne «razze bastarde di bastardi de' tirannetti Visconti e degli Sforza nati d'agricoltori in Romagna; vecchi preti e patrizi in galloria, imaginando boja, bastoni e torture; lasciava al popolo pane, preti e patibolo, tre cose santissime, in cui, però, non sta la patria».
Or vediamolo il D'Annunzio(79) in esilio!
È egli colui pel quale un altro Daudet, non collaudato dai figli, possa foggiare un romanzetto d'alto garbo ironico? Non dicono i reporters d'oltralpe le umili gesta sue parigine? Non ne maravigliano i boulevardiers, più melensamente sciocchi de' borghesi di Arras, in domenicali passeggiate sotto l'olmeneta del mail! - Ricordate L'Orme du mail di Anatole France? - Là, lo spirito superficiale e ballerino, ajutato, nelle capriole, dal geniale absinth, il verde allenatore della decadenza; - là, il povero amoralismo parolajo può non maravigliarsi de' debiti sfacciati di un letterato, delle scalmane d'amore di un cinquantenne. Imbevuto di quell'aria medicata di cantaride, per eretizzare, di formalina, per conservare, anche un critico anglosassone, sperdutosi per il Quartier latino, non sente froissée la sua respectability; approva, crollando il capo con indulgenza: «Fanciullone, eterno fanciullone! E dove dovrebbe mai vivere meglio un poeta se non a Parigi, dove fa stato la prosopopea di Honoré de Balzac?
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Antidannunziana
D'Annunzio al vaglio della critica
di Gian Luigi Lucini
Studio editoriale lombardo 1914
pagine 379 |
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