Come il Silenzio, all'ingresso dell'ariostesca grotta del Sonno, Rocco Pesce, l'incorruttibile servo di Gabriele D'Annunzio, vigilava alla porta della Capponcina. Non indossava nè le scarpe di feltro, nè il mantel bruno, ma sapeva anche lui il cenno - pieno di muta eloquenza meridionale - che vieta cortesemente la soglia all'inopportuno visitatore.
«All'ora del pasto, Rocco suonava la campanella - un'antica campanella di bronzo che aveva forse segnato, in qualche vecchio chiostro, l'ora della preghiera per chiamarci a tavola. Qualunque cosa stessi facendo, io mi precipitavo nel refettorio al primo squillo; ma il mio Ospite, assorto nel suo lavoro, quasi sempre indugiava. Allora Rocco, con infinita cautela, si accostava all'uscio dello studio per vedere, dalla faccia del padrone, se fosse il caso di ripetere o no la scampanata, «Scrive!» egli diceva voltandosi verso me, che seguivo con impazienza i suoi approcci prudenti; e dopo un poco sapendomi capace, quando l'appetito mi stimolava, d'ogni più irrispettosa trasgressione della regola monastica, picchiava qualche timido colpetto sull'uscio nella speranza che il suo signore intendesse. Non di rado anche questo appello era vano; ed io finivo con lo spazientirmi; mi afferravo alla corda della campanella, e giù, a distesa, mentre il povero Rocco, facendo un viso stralunato, mi supplicava con grandi gesti di desistere dal sacrilegio.
«Finalmente l'Ospite interrompeva la sua fatica. Uscendo egli dallo studio, pareva essersi svegliato allora allora da un sonno profondo: la sua faccia era quasi velata, i suoi occhi non avevano sguardo.
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Antidannunziana
D'Annunzio al vaglio della critica
di Gian Luigi Lucini
Studio editoriale lombardo 1914
pagine 379 |
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