Errore: si deve essere esigentissimi coi virtuosi vanaglorianti: tanto più che, al dir del Martini, prefatore del volume nencioniano, presente quel letterato, aveva esercitato la sua opera maggiore di critico fraterno nei volumi altrui; in quelli cioè «di Gabriele D'Annunzio, cui il Nencioni rivelava la poesia di Roma, conducendolo adolescente tra i cipressi de' Ludovisi sotto gli elci di Villa Medici» riveditura precoce, ma non battezzimatrice, perchè il giovane trovò virtù in que' suoi facilissimi e dilettosi peccati. Dove poi il Gargiulo si discosta dal mio parere, un'altra volta, è ancora nella citata Conclusione, Senz'altro, egli così esatto e sedentario, si sente attratto da una foga lirica al volo pindarico ed imagina una tragedia intima nel nostro grande poeta, pag. 442. No, non vi ha tragedia intima in lui oltre quella della superbia contro il bisogno, quella della vanità contro il proprio riconoscersi inferiore al tipo che desiderava di essere. Da quando il bovarysmo montò in lui come un'amara marea a prevaderlo, straniandolo, dai disinganni, egli più non accorse di essere nel falso, sul cilio di un abisso. Appunto perchè tentò di raggiungere l'estremo opposto, a cui tendevano le proprie facoltà, con ciò dimostrò non aver avuto dubii nelle sue capacità ma questa sua sicurezza fu sempre e permane una illusione, cioè un non sapersi e quindi un aver oltre passato la crisi tragica dell'intimo dissentire, del completo rinnovarsi. Perciò D'Annunzio non si accorge - e quindi non sofre, non è in tragedia - delle falsissime Elegie, del Giovanni Episcopo, dell'Innocente.
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Antidannunziana
D'Annunzio al vaglio della critica
di Gian Luigi Lucini
Studio editoriale lombardo 1914
pagine 379 |
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