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      Egli crede, qui, di sorpassarsi, di aver detto qualche cosa di più, di aver salito un'altra scala più alta; e non si avvede di essersi mentito.
      E noi lo sentiamo, come in molti passi delle Laudi, anche falso stilisticamente; ed è appunto quando si presume universale, che la sua vanità ha fatto il vuoto torricelliano, in cui egli stesso sparisce. Tentò il Nietzsche? Tenterà San Francesco col medesimo risultato. Più tosto si sentirà, nella sua impotenza, il bisognoso costante: ed è qui che la superbia lotta colla necessità; ma il cozzo è puramente d'atti, fisico: chi fu il signore democratico della Canzone di Garibaldi, sarà il nazionalista della Nave, perchè la sua superbia torni a persuadere ch'era stato lecito correre su pista falsa ed anarchicamente conservatrice per le Laudi, come le sarà permesso disturbare i Bollandisti, od infarinarsi di Goethe per San Sebastiano. Così egli, che non si è mai conosciuto, ma che, terminata un'opera in un senso, non dubita mai, incominciandone un'altra nel senso opposto; che fu ingannato da sè stesso e per necessità organica ingannò li altri: non ha potuto accorgere la serie di sconfitte che subirono i suoi disparati tentativi verso il meglio, perchè tutti considerò come capolavori, cioè successi, oltre che economici, d'arte. È solamente il critico che può informarlo dell'errore perchè compara; è il Gargiulo, che può attestargli e costruirgli la bellezza di una tragedia ch'egli non avvertì, nè sentì, perchè cieco interiormente. A D'Annunzio sembra sempre e continuamente di ascendere; avendo incominciato a camminare da un alto monte, ed, in sulle prime, salendo sempre, di necessità s'imbattè col picco impervio della cima.


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Antidannunziana
D'Annunzio al vaglio della critica
di Gian Luigi Lucini
Studio editoriale lombardo
1914 pagine 379

   





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