- E, per mettere a pari un da Verona con un D'Annunzio, ripeto quelle conclusioni che vi promisi più in su: credete, si equivalgono i due poeti e poemi civili.
Per le orribili giornate di quella primavera, che ricordano re Bomba ed i Croati, e tutte le soferenze, e tutte le vendette astute e gesuitiche, e tanti lutti, e tante lagrime di vedove e di madri, il Verona vide la plebe,
«con le sue donne macilente e i figliprecoci nel delitto, uscir briaca
per le strade, imprecando una vendetta.
Erano centoerano mille!.....»
E vide i:
«giovani perversi,
ubriachi di vino e tormentatidi una sete di sangue».
E vide una:
«pietra lanciata da una mano inconscia,
contro la forza della patria legge».
E udì:
«qualche tinnio d’armatura e qualchenitrito di cavallo».
Mentre, ahimè! sciagura e blasfema e delitto, qualcuno, (chi in verità?) concionava:
«Urla, e domaninon avrai sofferenza!»
oh, tribuno sbracato e imaginario, a vociare!
«Nell'arche dei patriziiSono tesori per comprarti il pane»
(che è forse vero, se non fosse apocrifo).
Poi vi conferma, per filosofia, che:
«Una legge vital vuole, che l'unoaccenda il forno e l'altro mangi il pane»;
per quanto non mi paja una legge molto equa e niente democratica.
Di questo passo trascorre per il sei, il sette, l'otto ed il nove di Maggio. Peripateticamente avrà campo di sobillare qua e là al giudice,
«che il popol ami, venerando il trono,»
d'incrudelire su quelli,
«che del sangue versato han la coscienzalorda ed abbietta».
Per cui la responsabilità è assai pericolosa e tende ad una minaccia dubia, secondo il punto di vista dal quale si considerano le cose.
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Antidannunziana
D'Annunzio al vaglio della critica
di Gian Luigi Lucini
Studio editoriale lombardo 1914
pagine 379 |
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