incoronan la Morte,
come Me sopra al Golgotha,
d'un cerchio siderale;
e non v'ha poesia e fine nella vitase non nella squisita
pena del perdonare,
poi che li altri sorridano.
Oh! Bambini! Vi bacio sulle gote:
domani il vostro bracciorinnoverà la terra:
ho infranto le catene secolaried ho vinto l'oblio,
per sempre, Uomo-Dio!»
No; il D'Annunzio ha abusato di Cristo come un dilettante e come un bigotto, cioè da perfetto utilitario; nella ascesa della sua virilità compreso e pieno di sè, ne abusò disprezzandolo; nella discesa verso l'età sinodale, verso il raffreddamento del sangue, la metallizzazione delle arterie, ne abusa accostandoglisi con importuna frequenza. Ma D'Annunzio è troppo piccolo vicino a Cristo, e se ne vendica coll'insulto e la preghiera. Tutto questo, che può servire di norma ad uno psicologo sperimentale, per definire la curva biologica e mentale del suo soggetto, gli conferisce anche il diritto di saggiare la poca resistenza dell'organismo psichico e poetico d'annunziano. D'Annunzio diventa vecchio: vi è un proverbio veneto che suona: «quando el corpo se frusta, l'anima se giusta». Giuseppe Rensi, in Coenobium dell'Ottobre 1912, in un suo articolo Conoscenza e Volontà, lo avvalora col fatto, che, invecchiando, la mente ritorna «alla ricerca ansiosa intorno alla possibilità di una forma di vita futura. Queste preoccupazioni, che sono gli elementi fondamentali della religione ed anche di una elevazione morale, sono, nello stesso tempo, un segno non dubbio che la vitalità va dissolvendosi ed avviandosi alla estinzione, sono la premonizione della morte». Mi par che il Rensi ragioni all'inversa: e che il fenomeno religione sia invece da ricercarsi nelli organismi o società bambine, cioè incomplete o barbare, ed in quelli in dissolvimento, cioè rimbambite od in decadenza.
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Antidannunziana
D'Annunzio al vaglio della critica
di Gian Luigi Lucini
Studio editoriale lombardo 1914
pagine 379 |
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