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      È in questa foggia e con quel piacere, che sarebbe bene fosse conosciuto ed analizzato da uno psichiatra, che il Poeta raccolse li spunti per il Meriggio: Gabriele D'Annunzio accenna nel «Meriggio» alla beatitudine di quelle sue sieste sotto la sferza del solleone:
      «la mia forza supinasi stampa nell'arena,
      diffondesi nel mare;
      e il fiume è la mia vena,
      il monte è la mia fronte,
      la nube il mio sudore....»
      Conviene abbondare nelle citazioni del Gabriellino che ci dà le ragioni animali delle Laudi «Tutto il terzo libro delle «Laudi» cioè l'«Alcione» - è pieno, per me, di quel tempo. Le funzioni che vi suscita il poeta, le viveva intensamente prima di fermarle nel verso; le vedeva in una realtà effimera, creata dalla sua esaltazione; e colla forza della sua parola, comunicava anche a noi la facoltà di viverle e di goderle». Il delirio, sì come suole, è contagioso. «Talvolta, essendo soli in barca, al largo, sperduti nel mare, immaginava ch'egli fosse Ulisse e noi i suoi compagni». Vi ho già citato il simile caso de' passatempi bambineschi: fingersi Robinson Crosuè. «Il giuoco, divinamente infantile, ci prendeva». Perfettamente! E che cosa sarà mai stato, è, e sarà Gabriele D'Annunzio se non un fanciullo capriccioso, perverso e furbo, che seppe far valere la sua falsa spontaneità e vendere i proprii vizii estetici per opere d'arte?
      Gli è che trovò, in torno a lui, de' bambini ignoranti e babbei che si lasciarono ingannare e delli uomini interessati e crudeli, che, col convincerlo della sua non grandezza, lo sfruttarono e si arricchirono, col suo esibizionismo, sulla sciocchezza de' babbei lussuriosi.


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Antidannunziana
D'Annunzio al vaglio della critica
di Gian Luigi Lucini
Studio editoriale lombardo
1914 pagine 379

   





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