Ecco il suo peccato: arricchendosi della roba d'altri, la impoverisce e la abbassa al suo livello; ciò che l'onesta critica non può permettere, o, se scusa bolla: Plagio. Un altro, Giovanni Zuccarini, nella prefazione di Scheggie e Sprazzi, G. Puccini editore, Ancona 1912, è più indulgente ancora, perchè è meno colto: leggete a pag. XXIII di De sui ipsius et aliorum ignorantia. «Mi sembra che una stranissima fatalità incomba ormai su Gabriele D'Annunzio, la fatalità che nei tempi mitologici gravò su re Mida. Ne è la prova le Fonti d'annunziane che il Croce va da tempo raccogliendo nella sua Critica. Tutto ciò ch'egli tocca (probabilmente il D'Annunzio, vero? ma quest'egli, che vien dopo Croce non è molto sintatticamente chiaro) diviene oro sotto le sue mani, fin l'erudizione bibliotecaria del prof. Tenneroni, fin le indicazioni del Baedeker, fin la storia marinara del padre Guglielmotti e le notizie dolenti di Giuseppe Barzini nel Corriere della Sera: tutto converte nell'oro delle sue strofe sonanti». Lo Zuccarini, che è dolce di natura, come di nome; chiama oro il metallo, con molta ganga, che ne riesce: poi oro, perchè è inverniciato con qualche cosa di lustro? è princisbecco da fiera; è imitazione; siamo sempre nel falso: la atroce ananke d'annunziana appare sempre, perchè organica, insistente.
(66) Aveva gia distesa tutta questa mia teorica sul plagio, in riguardo alla speciale mentalità d'annunziana, quando fui avvisato, che, in linea generale, era allora di fresco uscito, sul N. 2, dell'anno IV di Rivista di Psicologia, diretta dal Prof.
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Antidannunziana
D'Annunzio al vaglio della critica
di Gian Luigi Lucini
Studio editoriale lombardo 1914
pagine 379 |
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