D'Annunzio. Non capisco come un titolo generale possa diventar particolare proprietà; e mi è più difficile imaginare come i miei modesti tentativi dramatici possano ostacolare alla gloria mondiale del sig. D'Annunzio. Per intanto si rassicuri che l'opera mia, lungi dall'essere un drama evangelico, si avvicenda nella Rinascenza italiana e che il titolo Marthe et Marie è semplicemente simbolico». - Pochi giorni dopo D'Annunzio, nel Figaro, smentiva quel signor Manzoni, tanto comodo che nessuno ha visto mai. In ogni modo, mi pare, che la morale della favola concluda col: mettere avanti i piedi: era questa forse l'unica volta che altri usava di un titolo di libro, di comedia, ecc. che D'Annunzio aveva scoperto lui, proprio lui; ed al quale, per Bacco! teneva come papà a figliuolo naturale e legittimo. Rarissima coincidenza: a gridar: «Primo!» si avevano tutti i diritti di questo mondo.
(71) Anche il Borgese è del mio parere; leggete i Rimasugli di D'Annunzio, a proposito della Fedra, in su La Stampa di Torino del 5 Maggio 1909.
«Ma ci sono plagi assai più gravi e pericolosi di questi, e sono quelli che Gabriele D'Annunzio perpetra ai danni di Gabriele D'Annunzio. Tutti gl'italiani sono stati dannunziani, ma un giorno o l'altro hanno smesso. Uno solo persevera, impantanandosi ogni giorno di più nel suo male; e questi è D'Annunzio, l'ultimo e il più fedele fra i dannunziani. I personaggi dei suoi drammi sono press'a poco antropofagi; l'autore è autofago, si ciba di sè medesimo, e si ricucina ostinatamente in una salsa stantìa. Tutti i suoi vecchi motivi gli ritornano alla gola, e coraggiosamente egli li ingolla un'altra volta.
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Antidannunziana
D'Annunzio al vaglio della critica
di Gian Luigi Lucini
Studio editoriale lombardo 1914
pagine 379 |
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