La sua eroina è un vero mostro. Noi abbiamo dinanzi una Fedra assassina, furia, bugiarda, che durante tre atti, rifulge in una intollerabile autoglorificazione. Nessuna traccia di rimorso, di vergogna o di dolore attenua la sua passione per il figliastro Ippolito: il quale, a sua volta, non è che un fanciullo insignificante ed egoista, che non ha nulla di comune con l'altissima purezza dell'adolescente eroe di Euripide.
«La tragedia possiede soltanto due scene di valore drammatico, che sono del resto quelle che hanno incontrato l'approvazione del pubblico. Il resto della tragedia è appesantito da allusioni classiche, da discorsi troppo elaborati, da racconti noiosi. Qua e là alcune gemme di pura bellezza alleggerirono la noia dell'eccessiva verbosità e non fecero che far rimpiangere maggiormente che D'Annnnzio, al quale era rivolta l'attenzione di tutta Italia, non avesse a comunicare ai suoi ammiratori un miglior messaggio».
- Chè la Fedra è muscolosa, adiposa, lutolenta e disgraziata per un peccato di origine, vera ginnasta di letteratura da piazza e da fiera, cresciuta ed educata dai manubri; essendo noto che questa tragedia venne scritta in ventisette giorni, nelle condizioni più avverse alla meditazione ed al sogno, in un periodo acutissimo di una crisi finanziaria, col soccorso di quelli istrumenti ginnici ed atletici.
Leggete i Ricordi dannunziani del Gabriellino - La Lettura, novembre 1912: «Nondimeno, egli era riuscito ad isolarsi dalla cruda vita reale, con una serenità che stupiva i suoi amici, ed a ritrarsi con Fedra e con Teseo nel mitico mondo della sua tragedia, mentre la nube gli si addensava sul capo più che mai minacciosa.
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Antidannunziana
D'Annunzio al vaglio della critica
di Gian Luigi Lucini
Studio editoriale lombardo 1914
pagine 379 |
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