In quei ventisette giorni, aveva lavorato quasi ininterrottamente.
«Dormiva dalle dieci del mattino alle cinque del pomeriggio. Alle cinque faceva una doccia, si esercitava un po' coi manubri, e si rimetteva a tavolino, restandovi tutta la notte, e costringendo la servitù ad un orario impossibile. All'esercizio coi manubri annetteva un'importanza capitale: «Senza di essi - mi diceva un giorno additandomi gli attrezzi - non avrei potuto scrivere la Fedra. Ed io pensavo che la critica, per quanto cerchi ed indaghi, non arriverà mai a precisare tutti gli elementi - compresi i manubri - che possono concorrere alla formazione di un'opera d'arte».
- In queste necessità che altro il D'Annunzio avrebbe potuto fare? Oppugnar, col fatto, alla teorica del suo maestro Flaubert dal quale, nei giorni migliori, imprestava stile e pensiero; però che è bene ricordare come il papà di Madame Bovary detestasse lo Sport, per quanto di questa sua opinione fosse e sia rimproverato da quelli ingegni sportivi, allora ed oggi, in auge, ben veduti nei salotti in cui fanno accettare le loro opere anche colla performance ed il pedigree delle quattro gambe de' loro cavalli, o colle quarte, le quinte o le spaccate del loro fioretto. La scienza, intanto, dà però ragione a Flaubert e torto ai manubrii; il Dottor Sigaut ed il Dottor Mac Aulisse dimostrarono, colle loro esperienze morfologiche, che ogni lavoro muscolare di un cerebrale si compie sempre a scapito della produzione della sua intelligenza; sicchè possono i manubrii aver ajutato al parto di Fedra, ma Fedra è rimasta tragedia da manubri; cioè una azione mimo-danzante od un testo per musica.
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Antidannunziana
D'Annunzio al vaglio della critica
di Gian Luigi Lucini
Studio editoriale lombardo 1914
pagine 379 |
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