«È l'ora delle gaffes grossolane. Tale la famosa intervista sul San Sebastiano, in cui buffonescamente si ripromise «di dare un contenuto nuovo alla santità»; tale questa canzone dei Dardanelli in cui l'Italia è aizzata contro mezza Europa, mentre ogni italiano da bene sente il dovere di raccogliersi, di vegliare e di tacere. Leggerezze miste di imprudenza e di impudenza, a ciascuna delle quali l'indelebile marchio sommarughiano riappare. Pare che D'Annunzio non sia mai solo: che il magnifico signore della Rinascenza, primogenito di Cesare Borgia e nipote di Zarathustra, conduca seco un compagno che lo ridicolizza, lo svergogna e gli rassomiglia ahimè! come un fratello. È l'escogitatore delle eleganze dannunziane così atrocemente abruzzesi; è l'inspiratore di quel discoletto cinquantenne cui pare un gesto chic di non aver pagato il sarto. È colui che trasfigura il grande poeta italiano in una specie di Gustavo il Buonalana, vitajuolo molto considerato ai tempi del romanziere Paolo De Kock. Ah! se Gabriele D'Annunzio, creatura apollinea se mai ve ne furono, rimeditasse la grande parola di Delfo: «Conosci te stesso: tu sei il poeta del gaudio orgiastico, non il poeta del casto sacrifizio alla patria. Conosci te stesso: tu sei il cantore della concezione edonistica della vita: canta i magnifici tiranni e le meravigliose prostitute e non tentare di comunicare alle folle la febbre civile che non ti ha mai riarso. Conosci te stesso: tu hai divinamente esaltato la dispersione dell'uomo nel vortice della vita animale, la regressione alla bestia, alla pianta, alla natura inanimata: perchè simulare quella superiore umanità che non possiedi?
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Antidannunziana
D'Annunzio al vaglio della critica
di Gian Luigi Lucini
Studio editoriale lombardo 1914
pagine 379 |
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