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      Sei Gabriele D'Annunzio: non invidiare gli allori di Mario Rapisardi. Perchè le canzoni dei Dardanelli di Mario Rapisardi, buon'anima, nella loro povertà fantastica e stilistica, avevano una virtù che manca alla tua - la sincerità».
      Ed io dirò, per esaurire l'argomento in fretta: «In sui racconti, spampanati con tumida disinvoltura dalli assoldati ed improvvisati corrispondenti dei giornali di guerra italiani, ex liceisti e comediografi andati a male, poeti in fregola, gozzaniani e stiracchiati, critici falsi e sgramaticati, dico i Bevione, i Civinini, i De Maria, i Gray, i Coppola, eccetera, caterva magra, per dir bugia e per tenere ignorante il pubblico delle crudeli e feroci verità; quest'esule per debiti ricerca la materia prima del suo canto! È sulla prova e le indicazioni di questa cronaca, che distende le sue terzine, ne fa incrociare le rime; è sui manoscritti dell'ordine del giorno delli S. M. burocratici e militari, con un zinzino di censura questurina al telegrafo, ch'egli assegna, come un funzionario di poesia, medaglie poetiche al merito e le appunta sulle assise dei cari bersaglieri di Gustavo Fara, su Pietro Ari, sulle poppe di Elena di Francia, sui pettorali di Umberto Cagni, sulla Tomba di Mario Bianco. Le appunta, perchè le ha coniate con sigillo parigino, giacchè le fuse da carta gazzettiera; di fatti vi accorgete che non risplendono.
      «E noi vorremmo credere, per quanto non sia vero, che magnificar gesta di sangue, per l'opportunità dell'ora che passa, per l'aumento di un orgoglio nazionalista e pretenzioso, possa anche essere officio di poeta civile ed epico: ma, davanti al meschino risultato di queste terzine plebee e gonfie di tropi ridicoli ed elefanteschi, foggiati sulle superstizioni dell'altare, del trono, delle armi, delle forche, possiamo giudicare che un'altra volta D'Annunzio si è illuso di raggiungere l'epica.


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Antidannunziana
D'Annunzio al vaglio della critica
di Gian Luigi Lucini
Studio editoriale lombardo
1914 pagine 379

   





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