«No, egli non fu nè può essere, nè sarà mai poeta di gesta civili e nazionali, perchè manca di quella necessaria serenità e generosità per cui si riconoscono i diritti dei nemici e dei vinti. Omero canta Achille ed Ettore insieme, Ulisse e Priamo, collo stesso inesausto amore, colla stessa appassionata convinzione: qui, la grettezza morale dell'ultimo Pescarese destituisce le sue canzoni dal Poema, le consegna alla cronaca come poesie d'occasione, composte di improvviso, squattrinate davanti al pubblico ghiotto - che illudono - settimana per settimana, per la fabrica dell'appetito».
(77) È forse l'ultima volta che vi imbattete, su queste pagine, nel nome e nell'opera di Giovanni Pascoli; ed io non voglio che voi abbiate a ritirarvene colla mortificazione di avermi udito parlar bene del soggetto, per quanto qui non possa farne a meno. Ma, scorrendo pe' suoi libri, quanto ho detto male e ripeterò. Ripeterò una indiscrezione sopra la Canzone dell'Olifante, commessa alla pubblicità contemporanea di Poesia, che, allora, non era ancora divenuta futurista, blandiva il Pascoli e non stampò, perchè l'ammirava troppo: ed oggi la leggete: «In Francia, un grand'uomo filosofo, critico argutissimo e geniale, verso cui un secolo veniva attratto e si conformò, e dalla cui dottrina esce tuttora azione e calore, Voltaire, ha voluto scrivere una epopea sul serio: La Henriade, ed ha fatto ridere; i tempi non lo consentivano: ha composto un poema eroicomico: La Pucelle, ed ha fatto piangere; il tempo gli rispose colla ghigliottina.
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Antidannunziana
D'Annunzio al vaglio della critica
di Gian Luigi Lucini
Studio editoriale lombardo 1914
pagine 379 |
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