«Nella mia immaginazione, non era più un francese, bensì il francese, non più un latino, ma il latino, non più un uomo, ma l'uomo; l'uomo signore dell'universo, signore delle cose create, in atto di compiere un sogno meraviglioso, di soggiogare finalmente l'infinito, incatenandolo alle sue ali spiegate al sole. La sua personalità, la sua valentia, il suo eroismo, erano scomparsi: fuori dei limiti segnati dal regolamento particolare, era uscita la meravigliosa avventura, e, di fronte al mio cervello, tutto l'orizzonte si era allargato, oltrepassando i vecchi limiti del mondo, conquistando il cielo e il tempo. E la mia fiducia in lui, nella sua piccola persona di eroe sorridente, era fatta della mia fiducia nell'uomo, nella creatura umana nata per la dominazione e la sovranità e della mia fiducia nella fatalità della vittoria.
«Il suo trionfo, e attraverso il suo quello dell'umanità, erano il compimento d'un destino, la materializzazione fatale del fanatismo che da Leonardo da Vinci a Clement Ader aveva acceso quella magnifica febbre di libertà nel sangue degli uomini.
«È oltremodo dolce alla mia anima latina pensare che il dono mirabile viene dato all'umanità dalle mani della Francia, dalle mani della grande seminatrice che ebbe gli occhi chiari e chiare le idee per aver vista Minerva dal Campidoglio, della grande signora delle opere, che dopo aver conservato le tradizioni romane, consolidando le sue strade terrestri, le più belle del mondo, apre oggi infaticabilmente le altre strade ove non rimane alcun solco se non quello della gloria.
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Antidannunziana
D'Annunzio al vaglio della critica
di Gian Luigi Lucini
Studio editoriale lombardo 1914
pagine 379 |
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