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      - E continuano feste, balli, luminarie a Parigi: si commuove per lui anche l'Università delli Annali, l'istituto mondano per eccellenza, fondato da Ivonne Sarcey; si rimena per lui la diplomatica Polenta; si continua a parlare di quanto farà, per applaudire quanto ha già fatto. - Di modo ch'egli è divenuto il necessario condimento d'ogni riunione dove Paris s'amuse; magot di caminiera, portapenne di studio; mannequin d'atélier; e rientra nella grande letteratura per la porta di servizio. E subito l'ex signora Mendés lo appunta, con uno spillone il suo enorme cappello piumato, in serie entomologica tra i suoi altri insetti rari; e se, con sottigliezza tagliente, ci rievoca una sua visita vespertina e D'Annunzio, la sua originale preziosità lo cataloga maliziosamente:
      «L'aspetto del poeta mi fa pensare a certe immagini di San Marco e al realismo impressionante di certi Donatello: la bocca alquanto dolorosa pare quella di un martire quali solevano dipingerli i Primitivi. D'Annunzio parla il francese in modo perfetto: perfino troppo bene. Le sue parole sono troppo giuste, troppo belle. Possono esprimere, in modo meraviglioso, esaltare sentimenti e situazioni eccezionali, sintetizzare una impressione, una opinione: ma sembrano meno adatte alla disinvoltura del linguaggio famigliare. - Intanto, tutti sanno che D'Annunzio è terribilmente inesatto. Dicono anzi che si compiaccia a farlo apposta, che eccella nell'arte di lasciarsi desiderare, di eccitare la curiosità parigina di cui consente a rimanere un giocattolo, ma un giocattolo difficile e capriccioso.


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Antidannunziana
D'Annunzio al vaglio della critica
di Gian Luigi Lucini
Studio editoriale lombardo
1914 pagine 379

   





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