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      D'Annunzio ha una fortissima memoria: ne risulta anche una specie di ingombro nei particolari che non può non stancare gli uditori non avvertiti, e ve ne sono molti. Un pubblico che non comprenda finisce per annoiarsi: fortunatamente la musica scenica composta da Claudio Debussy lo risveglia dal suo assopimento».
      Il Critico del Journal: «Questo mistero non è ingenuo, e come mai Gabriele D'Annunzio che ha le altre grazie potrebbe pretendere alla grazia ingenua della scuola e del collegiale? Lodiamo senza misura e senza riserve l'artista e il suo genio che si espande e sovrabbonda, che passa da immagine a metafora.
      «È un caos che risente di tutte le credenze, di tutte le empietà e le tentazioni di Sant'Antonio da Flaubert con l'aggravante di una voluttà costante e solitaria. È l'uomo di Dio e il figlio unico nel suo impenetrabile e spaventoso orgoglio».
      Il Critico del Times si abbassa di più toni e trova note meno acute nel registro, dove si incomincia a ragionar meglio: «In genere» egli scrive, «è prezioso e tedioso. Il San Sebastiano ci mostra il D'Annunzio ad un tempo nei suoi aspetti migliori e peggiori. Lo splendore della frase e dell'immagine, a cui le sue opere, in italiano, ci avevano abituato, è qui assente: anzi il suo francese suona spesso come puerile traduzione di mediocri versi italiani. Dal punto di vista drammatico il primo atto... colpisce l'immaginazione degli spettatori: ma dopo questo il poeta cade in una tediosità e verbosità insopportabili... Nel terzo atto specialmente si insinua un elemento morbido e disgustoso che è tanto più pericoloso in quanto è velato dal linguaggio dell'esaltazione estetico-religiosa.


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Antidannunziana
D'Annunzio al vaglio della critica
di Gian Luigi Lucini
Studio editoriale lombardo
1914 pagine 379

   





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