E si udiva mormorare: «- Sarà bella, ma ci morrei soffocato. - Quella statua è di Michelangelo. - Sì, sì, ma di gesso. - Questo vaso, sapete, gliel'ho regalato io. Eravamo tanto amici. - I ferri battuti sono le cose più belle. - Andiamo nella camera da letto. - C'è troppa gente: tutti vogliono andare a vedere la camera da letto. - Le cose più belle sono i vetri. - Hai veduto la raccolta delle chiavi? - Mamma, le camere da letto sono due. - Hai visto quanti ceri? - Li accendeva tutti quando lavorava. - Sarà stata una bella spesa. Tutta cera vergine. - Non esagerare. - Ma lui dove scriveva? - Qui; ce l'ho veduto io. - No, di sopra, in piccionaia. Me l'ha detto a me. - Povero D'Annunzio, ci fa tanto pena. - Non lo dica: per lui è una liberazione. - Eppure il Governo doveva intervenire. - Ma sì, vedrà Giolitti pagherà tutto lui».
Già, infelicissimo poeta moderno! E Luigi Ambrosini notava in sui Casi del giorno: I debiti del Poeta, dalle colonne del Secolo, giustamente: «Se Gabriele D'Annunzio fosse vissuto ai tempi del tanto esecrato Nerone, questa rapina non sarebbe certo avvenuta. L'imperatore avrebbe pagato per lui. Nerone era uomo da fare questo e ben altro. Perchè Nerone aveva ben altrimenti del signore Del Guzzo, il senso rispettoso dell'arte e del fasto, della ricchezza in mezzo alla quale è degno che i poeti vivano e godano. Non sono forse essi che accrescono la ricchezza del mondo? È giusto, è umano che essi paghino i propri debiti come gli altri vili mortali? Che cosa è mai il denaro per un poeta?
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Antidannunziana
D'Annunzio al vaglio della critica
di Gian Luigi Lucini
Studio editoriale lombardo 1914
pagine 379 |
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