Gian Paolo Richter
Ma, ora, per quanto, come vedeste, siano rimaste infruttuose tutte le nostre cure alla ricerca di quelle prerogative, per cui si stabilisce la genialità di uno scrittore e dalle quali si afferma l'onestà originale di un autore, non persuasi ancora dell'esito negativo, interroghiamo un'altra volta il carattere estetico d'annunziano, sottoponendolo ad un'altra riprova. Sia nostra pietra di paragone sensibilissima e squisita, sulla quale ogni letteratura stinge parte del suo metallo, perché se ne riconosca il titolo, l'humor: pietra nera e quanto mai simpatica, che impregna la sua superficie della materia di cui si vuol saggiare, offrendola al reagente dell'acido caustico, questa volta la critica, che ne darà il giudizio. Voi avete dunque davanti, in azione, due strumenti: l'opera, che è poi la vita di Gabriele D'Annunzio e l'humorismo; dovete accingervi ad una funzione di rapporto, segnare la preziosità di quella, al contatto di questo.
Vi risparmio i processi mecanici di gabinetto intimo, che vi sarebbero noiosi e che in fondo ripeterebbero il metodo ed il risultato che prima vi esposi ed alla scoperta del quale presenziaste tutti: profanamente, come direbbe un antico ateniese. Intanto, confricai, l'uno dopo l'altro, libri e libri in sequenza d'annunziana, insistetti col Piacere, col Trionfo della Morte, con Le Vergini delle Roccie9, con La Città Morta, con Il Fuoco e via e via. Al tirar della somma, una leggiera sbavatura di metallo apparì alla strofinatura di quella famosa lettera Ai Catoncelli stercorari, dove l'ingiuria poteva anche accettarsi per ironia; ma è da tutti saputo che, ancora, tra ironia ed humorismo, vi è differenza di qualità e quantità.
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