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      D'Annunzio può presumere questo ed altro; può credere che il Gran Pan gli abbia commesso lo spirito e l'organo di manifestarlo alla modernità. Ma che dire, dopo che li altri avevano tutto scoperto? A che pro' vestirsi di battaglia per conquiste già assodate? È questo D'Annunzio il gladiatore forzato a combattere od a perire? Per chi? Per quale cosa? Per quale libertà? Per la sua licenza? Di quali idee foriero? A ricercare, tra le femine ed i maschi, il mecenate che assoldi per singolare e solitaria dilettazione, oggi, che né meno il popolo può sovvenire all'arte; non perché non possa più comprenderla, ma perché tutti li istrioni lo hanno accaparrato, rendendo più folta e più negra la sua ignoranza? Egli ha fatto divorzio tra l'essere ed il parere, tra l'idea ed il fatto; ha contravvenuto alle leggi biologiche della vita e dell'arte; ha separate e capovolte le norme, credendo che testa potesse servire al posto de' piedi e viceversa. Con ciò sperava di far nuovo, in ricerca di valori inediti, come Nietzsche; ma vedremo, come avendolo mal letto lo ha peggio compreso. Un'altra volta, si accorge come il disprezzare ed il non essere capace di considerare sotto un binomio inscindibile Pensiero ed Azione importi una fatale umiliazione nell'artista. In questa forma solo riesce l'umanità a compiere il proprio destino, l'artista a creare totalmente la propria opera; nell'uno, abbiamo la bussola, nell'altra il vento, e, nei reciproci loro rapporti, la franca e libera rotta della nave. - D'Annunzio è solo poeta di azione, - anzi di aggressione; nominalista18 impresta da tutti l'idea, quando non sia anche la forma per la fabrica, materiale indispensabile, concetti già battuti e squadrati pronti alla messa in opera cui occorre solamente lavor di cazzuola e mastice di calce, facilmente da lui apprestato coll'ajuto del vocabolario.


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D'Annunzio al vaglio dell'Humorismo
di Gian Luigi Lucini
pagine 126

   





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