Egli, quindi, è tagliator d'abiti in istoffe altrui, perché il concetto di quell'abito gli è sempre embrionale, non gli viene mai a maturanza; sì bene nasce quando trova che è già nato in forastiera bottega: donde e di qui le maniche, e di qui i risvolti, e di qui la fodera... etcc.: il guarnello d'Arlecchino è composto. Egli sente in sé palpitare la creatura, un aborto; perché questa veda la luce, deve ricorrere a molte plastiche mammane, ciascuna delle quali dà del suo: egli non è quindi l'ebro del concepimento, del parto grande; è l'indeciso che teme il nascituro non gli sia un mostro. Questa indecisione, questa paura per farsi ammettere ad operare ricorrono alla menzogna massima: cercano di dar bell'anima a membre composte bene, ma disgregate; domandano le idee ai periodi.
L'artista opera diversamente; sofre il raccapriccio di vedere che il corpo da lui creato vuole a sé imperiosamente un'anima. Ed ecco che la sceglie nella folla confusa e tumultuante che reclama e perseguita: ed è l'unica che può vestirsi delle sue carni: è la assoluta che gli spetta; è il pensiero che pareva assente dalla parola, che indi si rivela e vibra, quando la parola è già un gesto, quando questa parola, che sembrava immobile, ha trovato la vita, e, d'embrione o crisalide, si fa germe sfoggiato, farfalla. Pareva a tutta prima che non esistesse se non il vocabolo: ma dentro lo pervase l'energia: sono dunque nati insieme: è il pensiero che esige, immediatamente, l'azione: ed ecco il Verbo. L'artista, come il Jehova biblico, non fa che pronunciare il proprio concetto affinché il mondo si organizzi, affinché si faccia la luce: il mondo, dice Heine, è la segnatura del verbo.
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