Gli è che le parole vi vengono impiegate per quel valore e per quella nota che vuole il vocabolario, non impone l'autore. Le parole sono prese, froebelianamente, secondo la nomenclatura fisica, non secondo le intenzioni morali: le parole non vennero passate alla reazione alchimica interiore del sentimento; nessuna trasmutazione hanno subito, per cui, dal minerale grezzo, riesca il metallo lucido; per cui, dal senso comune, acquistino il senso personale ed essoterico su cui fondasi la dote verbale dell'humorismo: queste parole sono ancora bronchi, sterpi, legna secca, non sono poste in movimento, non vivono; sono oppresse dalla maestria dell'operatore, vi si trovano imprigionate a definire sempre ciò che questo vuole secondo la sua tecnica appropriata, ma gretta; è tolto, qui, al nostro linguaggio la divina facoltà di riprodurre dei sentimenti e molti sentimenti, a seconda de' suoi ascoltatori. L'eloquio d'annunziano è preciso ma non suggestivo; è lucido di levigature lapidarie; è secondo la cosmesi classica, ma non è elastico, non si adatta; è opaco all'anima, si rifiuta alla cinetica morale. È lo stile della abilità professionale, della indifferenza dilettante; perché il D'Annunzio per me sarà sempre il signore dilettante, che imparò l'arte e la mise da parte in ajuto dei giorni di carestia e di pressanti necessità. Per ciò solo egli è un ottimo professionista di letteratura, non rovesciando ne' suoi libri di sé che quel tanto cui la folla può gustare, non volendo faticare a confessarvisi intiero, non stimando opportuno di mettere i suoi interessi in piazza.
| |
D'Annunzio
|