L'artista grande e vero non può rattenersi, non possiede questa forza istintiva; scivola ad aprirci tutto l'animo suo; l'entusiasmo suo lo compromette; e gli fa dire più di quello che non convenga; egli è diventato il servo della sua passione estetica, eccede: per ciò si fa amare ed odiare, ma è lui: D'Annunzio, circospetto nello scegliere, nel ripolire, nel contigiare, ci vuol dilettare di vuote musiche; è il dilettante; lo rivedo a rappresentarmi l'abatino umanista ed erudito della Arcadia, che ingiojella e ribulina un povero anelluccio di sonetti per monaca o per nozze, chino in su quel minuzzolo d'oro che gli uscì dalla breve ispirazione, a caricare ad aggiungere ornamenti, curiosità, sì che, sotto a tal lavoro inutile, anche quel poco di metallo fine scompare ed a noi non resta evidente che la fatica barocca della ferruminazione. Eccolo il signore dilettante, il formalista intarsiatore che crede di essere il rappresentante e la parola eloquente di un popolo moderno: egli ha chiuso porte e finestre per non essere disturbato dai gridi della sua gente, della sua patria; pecca di esagerazione, si esaurisce col rivolgere le ricerche ai mezzi plastici; mentre, se questi si debbono esquisire e perfezionare, non ciò avvenga a detrimento della spontaneità, della freschezza. Forza l'intelligenza in un processo empirico di pura manualità; ne riescono creature come bolle di sapone, specchi effimeri di breve ambiente: se la brezza spira più forte, tutto dilegua, il globo magico col paesaggio riflesso.
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D'Annunzio Arcadia
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