Davanti a D'Annunzio noi analizziamo subito; e guai, allora, se la nostra critica non lo trova esatto; da che esattezza significa in arte: sincerità.
Amiamo noi D'Annunzio? Ci diverte. - L'odiamo? Ci ha fatto piacere. Ma lo Sterne, e Foscolo, ed Heine, e Stendhal, e Dossi, e Rimbaud si amano e si odiano nel medesimo tempo; poi si adorano in sintesi, ci si confonde con loro. A Gabriele D'Annunzio non possiamo che rimproverare: "Tu fosti, e sei, un privilegiato e dalla natura e dalla cieca fortuna: tu fosti avaro al mondo delle tue proprie organiche ricchezze, alli uomini del tuo tempo e del tuo affetto. - Tu, che hai avuto il raggio della genialità, perché non ne illuminasti i miserabili ed i pitocchi? O tu stesso eri, e sei, un pitocco morale che va limosinando, dalli applausi, nutrimento? - Tu, che ti sei foggiato un'arme forte e lucida, perché non hai saputo batterla con noncuranza che sul capo de' tuoi osteggiatori, di quelli cioè che hanno in assoluto più ragione di te? - Tu credi che vivrai sempre, e non ti accorgi che hai già vissuto troppo29. A te, farneticante imperii, scoperte, capolavori, maraviglie, non giunge il grido animale e sacrosanto di tutti - non l'urlo del sesso, dentro cui spesso affoghi come in un baratro di melma - sì bene il grido della solidarietà, che è il più imperativo, perché congloba tutto l'uomo, sesso, ventre e cervello. E sei rimasto, e rimani, immobile, nella muta indifferenza dell'odio e dell'amore, incapace di risentimento e di riconciliazione; dorme il tuo cuore, fremitano i tuoi nervi continuamente, sì che fai come fossero atassici ed insensibili, perché non conosci differenza tra il desiderio ed il possesso, né sai che sia aspettazione, cioè meritarti il premio.
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