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      Era la prima protesta d'imperio già vana, che la santa plebe immacolata giustiziava senz'altro nel capo.
      Il 21 Febbraio 1907, il più grande giornale italico, che è però Corriere della Sera, stampava, in prima pagina, in corsivo molto interlineato, l'epinicio "Per la tomba di Giosuè Carducci"; una canzone, che, per grettezza e stiracchiatura di pensieri, precede le più brutte terzine che canteranno l'impresa libica. Qui, vi si trovava del Frugoni, e si leggevano versi di questa fatta:
      che fece il santo Nome a noi più santoin cui il vietissimo concettino arcadico è pur genuino nell'ampollosità dell'artificio. (Fa pur tesoro, che, per necessità di rima abbiamo questo elegantissimo participio passato passivo: risplenduto!, una meraviglia di suono e di luce, come vedete). Il componimentino scolastico, affannoso, catarrale, pieno di ansimi e di fatiche, senza commozione, senza entusiasmo, era quel compito che tutt'ora l'Académie Française obbliga all'occupatore del seggio verso chi glielo lasciò vacante, per superstite cortigianeria inutile. Una sola battuta rispondeva al vero desiderio e bisogno d'annunziano; quella che guasconeggia nel troppo noto commiato, dove, confondendo senza nessuna autorità le due parti, egli si accordava senz'altro, sotto l'investitura simbolica di una fiaccola accesa, la successione immediata della dittatura32, che non gli si riconosce.
      Non importa: la canzone gli diè la data certa della presa violenta di possesso del magistero assoluto della poesia italiana; e, nella sorpresa, non vi fu alcuno, che, tratto dall'indignazione fuori dal galateo, non abbia gridato forte: "Abbasso il ciurmatore!


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D'Annunzio al vaglio dell'Humorismo
di Gian Luigi Lucini
pagine 126

   





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