Ma tanto forte, del resto, tenne la ciocca non salda al cranio della vaghissima calva ed incostante, che, per non averla potuto di poi seguire nel pieno volo, i crini gli si svelsero in pugno; per cui, come Icaro, procombette non in mare, ma nella melma di una palude, ancora.
Di quel tempo, l'orgoglio dell'umile sottoscritto, non chiedendo a nessuno il permesso e la facoltà di commemorare Giosuè Carducci - certo il più degno poeta di una Italia, che contrastò a sé stessa, quando si piegò alla servitù regia, per fiacchezza e tornaconto, incapace di eleggere il sacrificio generoso per l'integrale repubblica, di cui non potrà far senza se non vorrà morire, come nazione, in faccia all'Europa -; di quel tempo, uscivano in Varazze, il 5 Marzo 1907, centoventicinque esemplari di Ai Mani gloriosi di Giosuè Carducci, però che mi era doveroso, per l'arte mia, su di lui una parola. Ed oggi, sull'argomento che ci occupa, ne ridò queste quattro pagine che completano la mia opinione sulla indegnità d'annunziana non solo a continuare, ma pur a commemorare l'epico di Ça-ira.
Un altro, del resto, vien qui a sorgere con tutte le pretese del polledro ben quotato dai book-mackers, ma stanco dalle faticose vittorie riportate e già sfiancato per l'affanno di presentarsi, sopra ogni campo di corsa. Ed è l'Abruzzese dall'erotismo inquieto, che si mise presto in bacheca coi suoi iperuomini da un soldo, che grida e fa gridare a squarciagola il suo nome di successore: colui che meno delli altri può riceverne l'eredità. A lui non giova, nel commiato alla ballata: Per la tomba di Giosuè Carducci, affidarsi:
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